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Internet libera non è Far West

di John Tierney

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20 gennaio 2010

Quand'è di preciso che la saggezza delle folle cede alla malvagità delle bande criminali? Negli anni 90, Jaron Lanier fu uno dei primi pionieri del digitale ed esaltò le meravigliose opportunità che Internet avrebbe reso possibili, una volta che avesse consentito a musicisti, artisti, scienziati e ingegneri di tutto il mondo di condividere istantaneamente il loro lavoro. Adesso, al pari di molti di noi, in proposito sta avendo qualche ripensamento.
Lanier, un musicista e un informatico all'avanguardia - fu lui a rendere popolare a suo tempo l'espressione "realtà virtuale" - si chiede se la struttura e l'ideologia di fondo del Web non stiano per caso favorendo deprecabili dinamiche di gruppo e collaborazioni mediocri. Il suo nuovo libro, intitolato You are not a gadget, è un vero e proprio manifesto contro il "pensiero collettivo" e il "maoismo digitale", espressioni con le quali allude all'esaltazione del software open-source, della libera informazione, del lavoro collettivo a spese della creatività individuale.

In pratica, Lanier depreca l'abitudine della Rete a garantire "l'anonimità" che secondo la sua opinione favorisce un licenzioso comportamento cospiratorio nei blog, nei forum, nei social network. Prende atto dei numerosi casi di collaborazione e condivisione, per esempio Wikipedia, ma sostiene che il mantra della "cultura aperta" e dell'"informazione che vuole essere libera" abbiano determinato un nuovo quanto distruttivo contratto sociale.
«L'idea di base di questo contratto – scrive Lanier – è che gli scrittori, i giornalisti, i musicisti e gli artisti sono incoraggiati a trattare il frutto del loro intelletto e della loro immaginazione come frammenti da offrire senza compenso alla coscienza collettiva. La reciprocità assume la forma di un'autopromozione. La cultura è ormai in procinto di diventare nient'altro che réclame». Trovo la sua critica interessante, in parte perché Lanier non è affatto il tipico eccentrico luddista, e in parte perché io stesso ho provato una sorta di delusione nei confronti del Web.

Lanier sostiene che i vecchi - e cattivi - sistemi digitali tendano a restare come sono perché è troppo difficile nonché oneroso per tutti passare a uno nuovo. Il problema di fondo, noto agli economisti come "lock-in", è da tempo sotto accusa per il fatto che inibisce e frena l'ascesa di tecnologie superiori come la tastiera Dvorak per la macchina da scrivere e i videotape Betamax, e per aver perpetuato cose inutili come il sistema operativo Windows.
Può sembrare sufficientemente plausibile, in teoria, specialmente se il vostro computer ha appena subito un "crash". In pratica, tuttavia, secondo gli economisti Stan Liebowitz e Stephen Margolis, i prodotti migliori hanno sempre la meglio. Dopo aver ricontrollato le battaglie tra le tastiere Dvorak e le "qwerty", o tra i videotape Betamax e le cassette Vhs, sono giunti alla conclusione che i consumatori hanno avuto ottimi motivi per preferire le tastiere "qwerty" e le cassette Vhs, e che chi vende tecnologie superiori in genere non resta fuori dal giro.

Liebowitz, che insegna all'Università del Texas a Dallas, ritiene che il problema della Rete oggi abbia meno a che vedere con i monopoli o il design del software e maggiormente con la pirateria intellettuale, che ha studiato in modo approfondito. Di fatto, Liebowitz era solito propendere per la fazione di coloro che «vogliono che l'informazione sia libera e accessibile a tutti».
Negli anni 80 Liebowitz era arrivato ad affermare che fotocopiare un testo di fatto giovava ai proprietari del diritto d'autore, in quanto esponeva molte più persone al frutto del loro ingegno, e in seguito riferì che le tecnologie di audio e videoregistrazione offrivano enormi vantaggi ai consumatori senza danneggiare più di tanto i proprietari dei copyright di Hollywood e l'industria della musica e della televisione.

Ma quando Napster e altri siti di condivisione di musica sulla Rete hanno iniziato a diventare popolari, Liebowitz giustamente predisse che l'industria della musica ne sarebbe stata duramente colpita, perché fare copie perfette e distribuirle era diventato molto economico e fin troppo facile. Cercare di far pagare le canzoni e altri contenuti digitali è spesso un'operazione liquidata come una causa persa in partenza, perché gli hacker possono introdursi di soppiatto e decifrare qualsiasi tecnologia di protezione di un diritto d'autore. Ma come Lanier fa notare nel suo libro, qualsiasi antifurto su un'automobile o in una casa può essere messo fuori uso, eppure poche persone lo fanno e poche condonano le irruzioni e lo scasso.
«Una persona intelligente si sente colpevole se scarica musica senza pagare il musicista, ma ricorre a questa ideologia o cultura del "tutto aperto e accessibile" per mascherare il proprio senso di colpa», spiega Lanier. Nel suo libro contesta poi apertamente l'affermazione che non si arrechi un vero e proprio danno copiando un file digitale, in quanto non si danneggia materialmente il file originale.

  CONTINUA ...»

20 gennaio 2010
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